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CAPITOLO 6
I FINANZIAMENTI STATALI E LE
Sommario: 1. L'insegnamento della religione nella scuola di stato 2. I finanziamenti statali alla luce della legge 222/85 3. La questione dell'otto per mille 4. La deducibilita' delle offerte dall'imponibile I.R.P.E.F. 1.L'insegnamento della religione nella scuola di Stato
Il 18 febbraio 1984 veniva firmato il nuovo Concordato tra lo Stato italiano e la Santa sede, ed il 21 febbraio dello stesso anno veniva firmata la Intesa fra lo Stato italiano e la Tavola valdese. 35 Di fondamentale importanza per il tema che vogliamo esaminare, e' l' articolo 9 del Concordato e la prima e la quinta dichiarazione del Protocollo addizionale.
L'articolo 9, nella prima parte, richiamandosi agli artt 3, 9 e 33 della Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica la liberta' di istituire scuole di ogni ordine e grado, e la liberta' d' insegnamento (diritto questo, che, alla luce del dettato costituzionale, non e' valido solo per i cattolici, ma proprio di ogni cittadino).
Ben altro e' invece il tenore del punto 2 dell' art. 9 del nuovo Concordato, la cui comprensione diventa piu' puntuale, se raffrontata con l' omologo art. 36 del Concordato del 1929.
L' art. 36/1929 affermava:
"L' Italia considera fondamento e coronamento dell' istituzione pubblica, l' insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica".
Erano dispensati dall' obbligo dell' ora di religione cattolica gli alunni i cui genitori ne facessero richiesta per iscritto al capo d' istituto, all' inizio dell' anno scolastico.
La legge quindi sanciva, da un lato, la obbligatorieta' dell' insegnamento, dall' altro, la possibilita' dell' esonero per i non cattolici.
Questa liberta' pero' poneva sempre l'alunno esonerato, rispetto ai suoi compagni, non solo in una condizione di esclusione psicologica, ma anche di inferiorita' didattica, almeno per l'opinione pubblica, una volta che la religione cattolica era ritenuta dalla legge, e dal consenso comune, "fondamento e coronamento dell' istituzione".
Nel nuovo Concordato, (art 9.2 e dichiarazione n°1 del Protocollo addizionale), all' obbligatorieta' e al diritto di esonero, e' stato sostituita la facoltativita' o il "diritto" di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell' insegnamento, della religione cattolica".
Pertanto il confessionismo statale e' apparso superato, almeno formalmente e direttamente.
Lo Stato ha rinunciato ad imporre agli alunni della scuola pubblica una determinata forma religiosa, una volta dichiarato decaduto l' art. 1 del Trattato che sanciva la religione cattolica come religione di Stato 35 .
Tuttavia il punto 2 dell' art. 9 del nuovo Concordato recita:
"La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico dello Stato italiano, continuera' ad assicurare nel quadro delle finalita' della scuola, l' insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie, di ogni ordine e grado". 35 La novita' del concordato 84 e' la rinunzia all' obbligatorieta' preventiva della religione cattolica.
La famiglia viene lasciata di fronte ad una facoltativita' tra due offerte: la religione cattolica o la materia alternativa.
Una volta operata la scelta, questa e' vincolante per tutta la durata dell' anno scolastico.
Una prima osservazione va posta chiaramente:
la Repubblica italiana riconosce il valore della cultura religiosa (affermazione di principio generale), ma si impegna ad assicurare "solo" l' insegnamento della religione cattolica e non di qualsiasi altra confessione di fede minoritaria.
E' chiaro che l' art. 9, opera una specie di automatica identificazione fra valore religioso e religione cattolica, per cui perdurando lo spirito informatore dell' art. 36 del Concordato 1929, la dottrina cattolica viene ad essere privilegiata sulle altre.
Non sara' piu' la religione di Stato , ma resta comunque una religione privilegiata, per la quale lo Stato sostiene l' onere finanziario annuo di circa 40.000 insegnanti.
Nessuno puo' escludere che l' ebraesimo ed il protestantesimo, pur essendo forme religiose minoritarie, non abbiano un valore religioso o non abbiano dato il loro contributo culturale al patrimonio storico italiano.
Lasciamo per il momento, in questa analisi preliminare dell' art. 9, il problema della "curricolarità" di questa disciplina scolastica, del suo "carattere organico o aggiuntivo", della sua collocazione nell' orario delle lezioni, perche' ognuna di queste questioni che ha dato luogo a vaste polemiche, pur afferendo ad un' impostazione generale di politica ecclesiastica, si addentra nello specifico della legislazione e dell' organizzazione scolastica.
E' chiaro che la scuola delineata dagli artt. 3, 9, 33 e 34 della Costituzione, e' una scuola che promuove uno sviluppo della cultura e della ricerca scientifica (art.9) e s'impegna all' istruzione ed alla crescita intellettuale di tutti i cittadini.
E' la scuola di uno Stato laico e non confessionale.
Negli artt. 3, 8, 33, la Costituzione proclama il suo rispetto per tutte le convinzioni in materia di fede, morale, arte, cultura, politica, senza mostrare d' inclinare per l' una piuttosto che per l' altra.
Ad uno Stato laico e pluralista, dovrebbe corrispondere una scuola laica e pluralista, altrimenti bisognera' riconoscere che non si e' del tutto usciti dall' area confessionale. 35 Sarebbe possibile in Italia che lo Stato garantisse agli alunni di diversa confessione religiosa, il diritto di usufruire di un pari trattamento d' insegnamento religioso, come avviene nelle scuole svizzere, dove ad ogni confessione religiosa e' assegnato un proprio docente?
Nulla di simile e' previsto per la scuola italiana, ed il diritto di scegliere se avvalersi o no dell' insegnamento cattolico, finisce col dar luogo ad inevitabili forme di discriminazione tra gli alunni.
Il fronte laico ha ritenuto che l' obbligatorieta' sancita dal penultimo comma dell' art. 9 del Concordato di esprimere per iscritto la propria volonta' di non avvalersi dell' insegnamento cattolico, non corrisponde ad un effettivo bisogno del capo d' istituto (al quale occorre sapere solo quanti sono i richiedenti di quell' insegnamento per predisporre i docenti necessari), ma riveste le caratteristiche di una vera e propria forma di sottile intimidazione che mira a suscitare disagio psicologico.
Puo' anche tradursi in una vera e propria violazione della liberta', quando si chieda, come purtroppo nella prassi accade, il come ed il perche' della propria scelta.
Le richieste del fronte laico e delle chiese acattoliche nei confronti della circolare 368/85 del Ministro della pubblica istruzione on. Falcucci, sono state fondamentalmente due:
eliminazione della dichiarazione scritta relativa al "non avvalersi dell' insegnamento cattolico"
ribadimento delle "facoltativita'" e non dell' "opzionabilita'" dell' insegnamento della religione cattolica.
Cio' vuol dire che chi non intende avvalersi di quell' insegnamento non e' obbligato ad altra scelta di studio e puo' allontanarsi dalla scuola, per non vedere prolungata la sua permanenza scolastica.
Le ore di religione vanno quindi colocate in orario extracurricolare, oltre il termine delle lezioni.
Solo in questo caso l' insegnamento della religione cattolica rivestirebbe le caratteristiche di un insegnamento veramente facoltativo ed extracurriculare da collocare in orario aggiuntivo e libero, rispetto l' orario di tutti gli alunni. 35 Per evitare ogni forma di marginalizzazione dell' insegnamento della religione cattolica, i governi succeduti alla Falcucci, hanno operato in modo che la facoltativita', prevista dal nuovo Concordato, ribadita nel Protocollo addizionale e nell' Intesa Falcucci-Paoletti, si trasformasse a colpi di circolari ministeriali, in "opzionalita'" e quindi nell' obbligo di scegliere comunque lo studio di un' altra materia , detta appunto "materia alternativa".
Si evitava cosi' che i non avvalentesi godessero di un "tempo scuola" piu' breve e potessero praticare materie alternative piu' "appetibili", quali, ad es., l' informatica.
Le chiese evangeliche, ed in primis, la Tavola valdese si opposero alle nuove disposizioni, sostenendo che le circolari sono una norma di grado inferiore e non possono modificarele leggi.
Pertanto, nessuna circolare poteva prescrivere lo studio di una nuova materia non prevista per legge nei piani scolastici, ne' discostarsi in modo cosi ' evidente dal testo del Concordato e della stessa Intesa Falcucci-Paoletti.
La questione dell' ora di religione e' diventata dall' 84 in poi, il campo di scontro degli opposti ideologismi: il confessionalismo cattolico, espresso dalla maggioranza governativa, ed il fronte laico rinforzato dalle confessioni acattoliche.
E' evidente infatti che, nella situazione attuale, con un insegnamento della religione cattolica centrale e curriculare, e' quasi impossibile evitare forme di discriminazione tra chi si avvale e chi non si avvale di tale insegnamento.
Se la materia alternativa e' una materia fantasma o se il giovane viene lasciato ad oziare per un' ora intera, e' evidente che la bilancia negativa penda dalla sua parte; se invece l' ora alternativa fosse quella d' informatica, e' chiaro che si potrebbero sentire discriminati gli altri, cioe' i cattolici, perche' non potrebbero usufruirne 35 . Il T.A.R. del Lazio, terza sezione, sollecitato da numerosi ricorsi, in data 30 giugno 1986 con sentenza n° 198/86, sospende le circolari ministeriali relative all'ora di religione, perche' ritenutein contrasto con l' articolo 108 del Regio Decreto 26 aprile 1928 n°1297 e perche' in contrasto con il D.P.R. 16-12-1985 n° 751, cioe' con l' Intesa.
Il ministero della pubblica istruzione in data 3 luglio 1986, presenta ricorso in appello presso il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, per il rigetto della sospensiva T.A.R. ed ottiene con sentenza, in data 11 luglio 1986, pieno accoglimento del proprio ricorso.
Il consiglio di Stato infatti, rinvalida la circolare ministeriale impugnata dal T.A.R., in quanto ritenuta "atto meramente applicativo dell' Intesa" e perche' "non si apprezza la lesione d' interesssi che si assume essersi verificata nella sfera soggettiva dei ricorrenti".
Nonostante questa decisione gli anni successivi videro il perpetuarsi del tiro alla fune fra le opposte parti.
Con due nuove sentenze del 17 luglio 1987 n° 1273 e 1274, il T.A.R. del Lazio, ribadisce la facoltativita' dell' ora di religione, e quindi la facoltativita' della materia alternativa 35 . Contro questa sentenza il nuovo Ministro Galloni, presento' ricorso al Consiglio di Stato per ottenerne l' annullamento.
Con le ordinanze n° 578 e 579 del 28 agosto 1987, il Consiglio di Stato si espresse in una forma interlocutoria e d'attesa, in quanto affermo' che la materia alternativa era facoltativa e non opzionale e, pertanto, poteva essere rifiutata dallo scolaro.
Egli poteva scegliere anche il non fare nulla, ma non poteva allontanarsi dalla scuola. Nel sospendere le sentenze del T.A.R. del Lazio, il Consiglio di Stato si riservava poi di affrontare in un secondo momento il problema sulla natura dell'insegnamanto della religione cattolica nella scuola, per valutarne la facoltativita' o la curricolarita'.
Il pericolo di una eccessiva apertura laica, quale si poteva evincere dalla posizione assunta dal Consiglio di Stato, suscito' la piu' viva reazione cattolica.
Il 27 settembre 1987 il Vaticano trasmise al Governo italiano una nota di protesta 35 . In essa si denunciava la tendenza a modificare in modo unilaterale l'Intesa Falcucci-Paoletti e lo stesso Concordato.
L'insegnamento della religione cattolica non poteva ritenersi facoltativo, perche' era statto "assicurato dallo Stato, nel quadro delle finalita' della scuola", secondo il dettato dell'art. 9 del Concordato.
Infine l'ora di religione non poteva essere messa in coda all'orario scolastico , quale ora aggiuntiva, perche' sia il Protocollo addizionale che l'Intesa Falcucci, parlavano di collocamento "nel quadro dgli orari delle lezioni". Allineandosi sulle posizioni della CEI e del Vaticano, la circolare Galloni del 25 ottobre 1987 n.316,finisce col suscitare per la terza volta il ricorso al T.A.R. del Lazio ed il relativo successivo appello del Ministro della Pubblica Istruzione al Consiglio di Stato, visto che il Tribunale laziale ha ribadito il suo punto di vista, avverso alla decisione ministeriale e alle aspettative da parte cattolica.
Il Consiglio di Stato si esprime con sentenza del 17 giugno 1988, VI sezione, ricorsi 1006/88.
Si tratta di una lunga e motivata sentenza, che, sulla base di una analisi dettagliata dell'articolo 9 del Concordato, mira a sostenere giuridicamente un assunto che capovolge sostanzialmente la precedente sentenza dello stesso Consiglio.
Nei suoi punti essenziali, la sentenza afferma:
a) il carattere "oggettivamente obbligatorio" nella scuola italiana dell'insegnamento della religione cattolica.
b) la "curricolarita' " di questo insegnamneto, di cui si respinge la qualificazione di "quid pluris".
c) l' "obbligatorietà" dello studio della materia alternativa, che debba essere tale, da non creare le paventate discriminazioni a danno dei cattolici.
Il Consiglio di Stato imputa, infine, alla Chiesa valdese l'errore di compiere un salto loogico, allorche' nega quanto affermato nel punto c).
La obbligatorieta' della materia alternativa, infatti, pur non prevista ne' dal Concordato, ne' dal protocollo addizionale, ne' dalla legge 449/84, si evince "dall'intero sistema".
La decisione del Consiglio di Stato fu giudicata dal fronte laico e protestante come un notevole arretramento anche rispetto al Concordato del 1929 nel quale l' istituto della "dispensa, tradotto nella legge 5-6-1930, n.824, non comportava obbligo alcuno di alternative.
Per disposizioni legislative precedenti il Concordato e mantenute in seguito, il dispensato poteva assentarsi durante il periodo riservato all'insegnamento della religione cattolica. ( Art.112 del R. D. 24 giugno 1928).
Ad essere posto sotto accusa, da parte laica e acattolica, fu il nuovo Concordato, che avrebbe introdotto solo novita' apparenti, lasaciando inalterato un vecchio spirito di intolleranza tale da stravolgere i valori costituzionali.
Marcello Pera, ne "la Repubblica" 10 ottobre 1987 p: 10 , non esito' a dire che tutta la questione sull'ora di religione non sarebbe stata risolta, finche' fosse rimasto in vigore il Concordato.
Il Moderatore della Tavola valdese cosi' si espresse:
"Se due organi dello Stato e della giustizia amministrativa, come il T.A.R. ed il Consiglio di Stato, possono interpretare la norma concordataria in chiave diammetralmente opposta, significa che essa non e' adatta a regolare una materia cosi' delicata e va radicalmente riformata ".
Anche M. Tedeschi in un saggio aveva scritto a tale proposito. " L'accordo e' espressione della incultura giuridica dei nostri tempi, il frutto di una serie di leggerezze che non avevano ragione di essere dopo quindici anni di trattative". 35
Sull' insegnamento della dottrina religiosa le chiese evangeliche italiane, si sono allineate sulle posizioni di un netto separatismo Stato-Chiesa, conformandosi al modello statunitense o anche, per analogia, al sistema scolastico francese.
In questo ultimo, i genitori devono espressamente richiedere l' insegnamento religioso e questo si realizza fuori dall' orario curriculare e a spese degli interessati.
L' Intesa valdo-metodista con lo Stato, stipulata il 21 febbraio 1984, quella della Chiesa avventista e delle Assemblee di Dio del 1986, si sono ispirate a quella concezione separatista, i cui cardini sono stati fissati da M. Tedeschi nei princìpi fondamentali dell' aconfessionalita', laicita', tutela della societa' religiosa, riduzione della chiesa ad una societa' di diritto privato 35 . La legge 489/84 di applicazione dell' Intesa affronta in due articoli, il 9 ed il 10, il tema dell' insegnamento della religione, marcando la propria differenza ideologica con la Chiesa cattolica.
L' analisi dell' articolo 9 ci porta ad evidenziare tre punti fondamentali:
a) E' compito specifico della famiglia e della Chiesa occuparsi dell' educazione religiosa dei giovani;
b) La conseguente mancata richiesta da parte valdese di un intervento dello Stato in merito;
c) La difesa della liberta' di coscienza di chi, nel regime concordatario attuale, non intende avvalersi dell' insegnamento cattolico.
Il rifiuto delle chiese valdo-metodiste di chiedere il sistematico ed oneroso, per lo Stato, insegnamento religioso protestante nella scuola pubblica, non esclude pero' che le chiese siano disposte ad offrire, a richiesta delle istituzioni scolastiche, gratuitamente ed in orario extracurriculare, l' informazione storica, religiosa, teologica che venisse loro richiesta.
L' articolo 10 dell' Intesa, prevede appunto tali interventi quali episodici effettuabili solo su particolari richieste della comunita' scolastica in armonia con il dettato del D.P.R. 31 maggio 1974 n° 416 che, all' articolo 1, definisce la scuola: "una comunita' che interagisce con la piu' vasta comunita' sociale, culturale, scientifica, che la circonda".
La questione sull'ora di religione ebbe una svolta fondamentale con la sentenza della Corte Costituzionale del 12 aprile 1989, n° 203.
La questione di legittimita' costituzionale fu sollevata in via incidentale dal pretore di Firenze con ordinanza del 30 marzo 1987.
E' una sentenza che contiene novita' di grande rilievo giuridico e civile, che in modo chiaro e coraggioso hanno modificato quanto sostenuto dal Consiglio di stato del 17 giugno 1988.
Come abbiamo gia' detto precedentemente, al punto 4, la Corte Costituzionale riaffermo' "il principio supremo della laicita' dello Stato".
Nel punto tre, seconda parte, era stata riaffermata "la salvaguardia dei valori della liberta' di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale e la liberta' di professare o di non professare alcuna religione".
Lo Stato e' obbligato ad assicurare l' insegnamento della religione cattolica; per gli studenti tale insegnamento e' facoltativo; diventa obbligatorio solo dopo una scelta positiva di avvalersene.
"Per quanti decidano di non avvalersene e' uno stato di non obbligo"; da cio' deriva che l' imnposizione di un' insegnamento alternativo deve ritenersi descriminatorio.
Con questa sentenza il principio della laicita' dello Stato e della liberta' di coscienza come quello dell' insegnamento facoltativo della religione cattolica, sono stati affermati in modo incontrovertibile.
Purtroppo la risoluzione parlamentare di maggioranza del 10 maggio 1989, riafferma il principio che anche se i non avvalentesi possono rifiutarsi di partecitare a qualsiasi attivita' queste ultime, comunque, si devono svolgere nell' ambito della scuola e non e' possibile in nessun caso, per i non avvalentesi, allontanarsi dalla stessa.
L' ultimo atto di questo braccio di ferro tra governo e forze laiche e' stato rappresentato dalla sentenza del T.A.R. del Lazio (la sesta in materia), del 29 agosto 1989.
Tale sentenza conferiva ai genitori il diritto di non compilare il modulo del sì e del no all' insegnamento della religione cattolica.
Infine una settima sentenza del T.A.R. del Lazio del febbraio del 1990, si e' cosi' espresa:"il divieto doi allontanarsi dalla scuola per chi decide di non avvalersi dell' insegnamento della religione cattolica, diventa una misura afflittiva che incide sulla liberta' individuale dell' allievo".
La storia del confronto fra Stato e confessioni acattoliche, giocata sul piano della scuola pubblica, non e' ancora giunta al suo ultimo capitolo.
E' possibile cogliere attraverso questa lunga e tormentata vicenda quanto cammino sia stato percorso e quanto ancora ne resti per affermare in pieno quella liberta' religiosa e di coscienza che, unitamente ad altre liberta', e' tra i piu' preziosi diritti che la Costituzione garantisce ai cittadini.
2.1 I finanziamenti statali alla luce della legge 222/85
Come abbiamo potuto notare nell'esame del testo degli articoli componenti l'Intesa del 1984, la rappresentanza valdo-metodista ebbe sempre cura di specificare che le eventuali spese relative ad opere socia li ed ecclesiastiche compiute dalle rispettive confessioni, sarebbero state sostenute dalle stesse chiese. 35 L'approvazione della legge n. 222 del 20 maggio 1985, recante " Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia per il sostentamento del clero cattolico in servizio delle diocesi", ed in particolare, l'approvazione, da parte della Camera dei Deputati, dell'Odg n. 9/2337/3 35 , hanno riacceso un antico dibattito, in seno alla confessione valdese, circa l'opportunita' di ricevere finanziamenti dallo Stato, a copertura delle spese dell'opera di culto e sociale compiuta dalla chiesa valdese.
La legge n. 222/85 che disciplina esclusivamente la Chiesa cattolica, ha innovato con gli artt. 46, 47, 48 e 49, la disciplina del sostentamento del clero cattolico ad opera dello Stato, abrogando il vecchio sistema basato sui "supplementi di congrua".
L'art. 46 della predetta legge prevede una alimentazione indiretta derivante dalla deducibilita' delle offerte individuali, erogate dai fedeli alla Chiesa cattolica, dal reddito imponibile, fino ad un tetto massimo di due milioni di lire.
Una seconda erogazione, stavolta diretta, e' quella prevista e disciplinata dall'art. 47: lo Stato italiano e la Chiesa cattolica si spartiranno una quota pari all'otto per mille del totale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.
La suddivisione avverra' sulla base delle scelte espresse dai contribuenti all'atto della denuncia dei redditi, e, per il residuo, costituito da coloro che non hanno fatto menzione espressa della destinazione dell'otto per mille, la suddivisione di tali fondi sara' calcolata in proporzione alle scelte espresse.
L'art. 48 stabilisce, poi, che tali fondi saranno utilizzati tanto per interventi straordinari ed assistenziali, tanto per le esigenze di culto e per il sostentamento del clero cattolico.
In seno al dibattito parlamentare, per l'approvazione della legge n.222/85, sorse a piu' riprese la tesi di estendere anche alle altre confessioni tali agevolazioni finanziarie che questa legge, di natura concordataria, attribuiva specificatamente alla Chiesa cattolica.
Tale opportunita' fu proprio al centro dell'attenzione del predetto Odg n. 9/2337/3 con il quale i proponenti chiesero che il Governo si impegnasse a prendere tutte le iniziative per porre rimedio a tale disparita' " sia attivando i rapporti previsti dall'art. 8 Cost, sia attraverso iniziative legislative rivolte a risolvere il problema in linea generale attraverso norme di diritto comune.
M-+ 2.2 La risposta del Sinodo valdese, alla propo sta parlamentare fu tradotta negli atti 60 e 61/SI/85: nel primo articolo il Sinodo " pur riconoscendo che la forma di finanziamento prevista ..... costitui sce un fatto nuovo; ..... nella convinzione che e' compito dei credenti assumersi liberamente l'onere di mantenere le chiese cui aderiscono, ribadisce ..... il proprio giudizio negativo sull'assunzione ..... di oneri di mantenimento degli enti ecclesiastici e dei ministri di culto".
Nonostante tale espresso rifiuto a ricevere finanziamenti statali, lo stesso Sinodo, nell'atto 61, chiedeva alle chiese di studiare la possibilita' di tradurre nell'ordinamento interno valdese le proposte e le novita' apportate dal suindicato ordine del giorno.
Prima di esaminare le posizioni che scaturirono dal dibattito tra le contrapposte posizioni di chi era contrario e di chi era favorevole ai finanziamenti statali, e' forse necessario analizzare i punti di principio su cui si concentro' l'attenzione delle commissioni di studio create ad hoc per l'esame del problema.
La prima difficolta', gia' evidenziata all'inizio di questo capitolo, era rappresentata dal rifiuto della confessione valdese di ricevere finanziamenti dallo Stato per la sua opera: rifiuto che era, ed e' sempre stato, giustificato dalla posizione di netto separatismo che la chiesa valdese, nel corso dei secoli, ha voluto affermare nei suoi rapporti con lo Stato.
Un secondo problema era costituito dalla destinazione finale di tali fondi una volta che fossero stati accettati: sarebbero confluiti nelle opere di carattere sociale compiute dalla chiesa valdese, oppure, si sarebbero utilizzati per sostenere gli oneri relativi all' attivita' ecclesiastica? Ultimo, ma non meno importante, era il problema se si potesse accettare sic et simpliciter, senza le necessarie modifiche, una disciplina di carattere concordataria dettata esclusivamente per la Chiesa cattolica e del come, in termini giuridici, realizzare tale accettazione.
2.3 Alla luce di tali problematiche il mondo valdese si divise nei due fronti del no e del si. Le ragioni sostenute da coloro che avversarono la possibilita' di ricevere finanziamenti pubblici posso no essere sintetizzate in tre punti.
1) Se la chiesa valdese avesse accettato l'accesso all'otto per mille, avrebbe finito snaturandosi, con l'adeguarsi alla logica di una norma concordataria, quale era la legge 222/85;
2) Non sarebbe possibile distinguere nettamente le l'attivita' sociali da quelle di culto, cosi' da evitare che i finanziamenti pubblici venissero a sostenere gli oneri relativi al mantenimento dei pastori e alla costruzione di nuove chiese;
3) L'accettazione dell'otto per mille avrebbe indebolito l'impegno dei credenti evangelici a sostenere l'opera spirituale e sociale della chiesa. Le affermazioni ora esaminate, mitigarono notevolmente il fronte del si, il quale fu costretto ad evidenziare come l'accettazione del finanziamento non rispondesse solo all'esigenza di fronteggiare le necessita' concrete di mantenimento delle opere socia li , ma anche, e soprattutto, fosse da porsi in relazione ad una questione giuridica e di principio. Per controbattere le questioni sollevate dal fronte del no, era necessario studiare analiticamente non solo le varie forme di finanziamento previste dalla legge 222/85, ma anche come adattarle allo spirito ed ai principi dell'ordinamento valdese. Di queste esigenze si fece portavoce il Sinodo che tra gli anni 1985 e 1991 ha affidato a commissioni di studio ed alla Tavola valdese la soluzione del problema.
Dopo tali studi, che esamineremo dettagliatamente nei prossimi paragrafi, e, dopo duri scontri nel corso degli anni, il Sinodo approvo' nel 1991 35 la questione dell'otto per mille, deliberando che essa si sarebbe dovuta inserire tra le materie oggetto di una futura Intesa con il Governo italiano.
3. La questione dell'otto per mille
Tramite il sistema imperneato sull'otto per mille, la chiesa valdese potrebbe usufruire di un finanziamento annuo pari a circa trecento milioni.
La disciplina prevista per la Chiesa cattolica e dettata dalla legge 222/85 non poteva certo essere adattata all'ordinamento valdese.
Le modifiche principali che il fronte del si dovette apportare alla relativa disciplina, riguardarono fondamentalmente il sistema di calcolo e la destinazione dei fondi.
Relativamente al primo punto, la chiesa valdese, al contrario della Chiesa cattolica, ha rifiutato di ottenere una percentuale dell'otto per mille da calcolare in base ai residui di coloro che non abbiano dichiarato espressamente il destinatario del finanziamento.
Inoltre gli organi ufficiali della chiesa valdese si impegnano a rendere conto allo Stato della utilizzazione dei fondi.
Non apparendo possibile che il Governo riconosca un organismo valdese, creato apposta per tale compito, e diverso dalla Tavola valdese unica competente a rappresentare la confessione nei confronti dello Stato, sembra che ad essa possa essere affidata tale mansione.
Inoltre, e qui trattiamo la seconda questione, tali fondi non potranno essere utilizzati per le esigenze di culto della popolazione e per il sostentamento del clero.
L'unica destinazione di tali finanziamenti e' a favore di interventi sociali e caritativi per le collettivita' nazionale e straniera.
In relazione agli interventi sociali e caritativi e' nostra personale opinione che l'utilizzazione dei fondi statali possa essere giustamente fatta solo in relazione ai primi.
Se, infatti, la chiesa si impegna a svolgere attivita' di pubblica utilita', come la costruzione ed il mantenimento di ospedali o di scuole aperti anche a coloro che non sono membri o simpatizzanti della confessione valdese, sembra iniquo che lo Stato non aiuti finanziariamente tale impegno sociale.
D'altronde gia' attualmente alcuni istituti della confessione valdese ricevono dei sostentamenti economici da parte dello Stato o delle Regioni, data l'alta qualita' del servizio sociale svolto.
Ci sembra invece differente la questione relativa alle opere di carita': quest'ultime rientrano nel normale svolgimento dell'opera assistenziale a carattere spirituale propria di ogni confessione religiosae possono essere anche diretti a favore di enti o di persone extra-nazionali.
Non sembra dubbia la soluzione di affidare ad una futura Intesa l'applicazione di tale disciplina. Dato il contrasto, abbastanza netto, con i principi dettati dall'Intesa del 1984, tutta dedita al separatismo economico delle amnistrazioni statali e confessionali, solo con una nuova Intesa si potranno modificare tali punti di principio.
Si arrivera' cosi' a ridelineare i confini di un nuovo separatismo e del rapporto tra i due relativi ordinamenti.
Questa e' la strada seguita dalla Tavola valdese che ha inserito la questione dell'otto per mille tra i punti cardine del nuovo progetto d'Intesa.
4. La deducibilita' delle offerte dall'imponibile I.R.P.E.F.
A differenza del finanziamento attuabile tramite il sistema dell'otto per mille tale agevolazione fiscale riguarda non tanto la chiesa come istituzione, ma le singole persone fisiche.
Queste ultime potranno infatti dedurre dall'impnibile I.R.P.E.F., le offerte che durante l'anno hanno profuso a favore della loro confessione religiosa fino ad un ammontare massimo di due milioni.
Cio' rappresenta solo in parte un finanziamento indiretto alle varie confessioni, in quanto non e' detto che automaticamente, cio' che non sara' versato al fisco, venga successivamente elargito dai contribuenti alle casse della chiesa.
In Italia si assiste ad una utilizzazione sempre piu' ampia dell'istituto della defiscalizzazione che, tra l'altro, rappresenta una alternativa al sistema assistenziale. Si delega ai cittadini, anziche' al gioco delle tutele politiche, la scelta dell'iniziativa da sostenere.
Inoltre, la richiesta di detrazione degli importi delle offerte dall'imponibile costituisce sempre una facolta' e non un obbligo a carico del consociato. In relazione a tali considerazioni, puo' essere risolto il dubbio circa le modalita' di attuazione di questa seconda agevolazione finanziaria.
Si era infatti prospettata l'ipotesi che non essendo una agevolazione diretta per la confessione religiosa, ma che riguardava le singole persone fisiche, non fosse necessaria una nuova Intesa.
Sarebbe bastato che lo Stato avesse emanato una legge in tal senso, lasciando ai cittadini la possibilita' o meno di utilizzare la nuova disciplina con una espressa dichiarazione.
La soluzione adottata dal Sinodo e' stata quella di voler ricondurre anche questa agevolazione finanziaria nel testo del progetto della nuova Intesa da presentare alla rappresentanza governativa.